L’IDEA DI PRECIPIZIO EVOCATA DALLE GEOMETRIE DI LETO
Sergio Troisi
Intorno alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso Giovanni Leto (Monreale, classe 1946), che nel corso dei Sessanta aveva esordito con una pittura dal carattere più materico e informale, elaborò una cifra di ricerca a cui, con una serie di variazioni, è rimasto coerente sino a oggi: strisce arrotolate di carta di giornale disposte sulla superficie cosi da costituire geologie fantastiche e orizzonti immaginari, stagliati sui fondali uniformi e monocromi in nero, azzurro o rosso, inseriti in brevi scatole che rendevano quelle opere ugualmente degli oggetti simili a sculture.
L’uso di un materiale povero e quotidiano quale la carta di giornale e l’implicita cancellazione della scrittura sembravano rimandare alle pratiche anche concettuali proprie del clima artistico del decennio precedente; i brevi tocchi di colore che screziavano e impreziosivano i fogli resi simili a stracci o corde, l’allusione figurativa al paesaggio e all’orizzonte, la dimensione stessa del quadro e, più indiretta, della pittura, si inserivano invece nel contesto di quel nuovo decennio caratterizzato proprio in chiave di ritorno, esibito e talvolta proprio plateale, agli strumenti della tradizione artistica: la pittura appunto e il quadro.
Nel corso degli anni Leto ha variato la possibilità di quella tecnica anche in chiave oggettuale e installativa, così da rendere plausibile quella dimensione ambientale con cui oggi si misura con uno spazio denso ed insidioso quale la normanna Cappella dell’Incoronazione, gestita dal Museo Riso, per la quale ha concepito questa mostra nei due livelli dello spazio, la navata e la cripta ipogea. “Ritratto di Ignoto” il titolo (sino al 5 febbraio, catalogo Edizione Ezio Pagano)
Lungo le pareti della chiesa Leto ha disposto alcune realizzazioni recenti ma impaginate secondo i modi delle opere storiche, orizzonti quindi, talvolta nella parte centrale indiziati da una idea di voragine o di precipizio, con le strisce di carta che si avvallano in un moto ribadito dalle tracce di colore, e con un risolto rimando percettivo dei materiali alla scabra texture delle mura dell’edificio medievale. Dalla volta scendono tuttavia dei solidi dalla geometria irregolare e irregolarmente disposti, ugualmente marezzati di colore, simili a massi incombenti o anche ad astri di una congetturale costellazione dalla gravità incerta e in bilico, a cui è stato dato il titolo di Corpus temporis; a confermare questa dimensione cosmogonica e sacra, un’opera con le superficie avvallate verso un foro al centro dal titolo “Ombelico”, con riferimento alla pietra che a Delfi simboleggiava proprio il centro del mondo, e soprattutto un grande disco accampato nell’abside in asse con la finestra ogivale interamente saturo e quasi totalmente bianco.
Nella cripta della cappella, in un ambiente che già per la sua dimensione sotterranea si presta a una interpretazione iniziatica, Leto riduce sensibilmente lo spettro dei colori, e modella piani e volumi con una intenzione archetipica: due superfici disposte sulla pavimentazione secondo un movimento a onda “Onda era intitolata al livello superiore un’opera ancora concepita nella costruzione in verticale del quadro), una nera e l’altra bianca, a sottolineare l’ambivalente e il complementare valore primario in termini percettivi e simbolici; Il fulcro di attrazione , il punto dove tutto precipita e da dove tutto si irradia, è tuttavia il lavoro forse dimensionalmente più piccolo dell’intera esposizione, una sfera rossa semplicemente adagiata sul pavimento, laddove altrimenti si attenderebbe un altare.
Accortamente, Leto sceglie in questa occasione di misurare il proprio intervento con la suggestione e il silenzio del vuoto, assecondandolo.
Bibl. Sergio Troisi “l’idea di precipizio evocata dalle geometrie di Leto”, in La Repubblica, Palermo, domenica 12 gennaio 2020.
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