DAI SILENZI DELLA DISCREZIONE ALLA GLACIAZIONE
Aldo Gerbino
Le “funzioni pittoriche” esercitate creativamente da Giovanni Leto in questa sua “geologia dell’altrove” (Monreale – Galleria Civica) non ubbidiscono apparentemente ad exempla precostituite, ma sembrano affacciarsi in un impulso febbrile a ricoprire o meglio dire a riconfermare, la priorità della fisicità temperata tra le spire di una metafisica fascinazione. Se è stato fatto (Giorgio Di Genova in catalogo) il nome di Bernard Requichot, l’esponente del materico oggettualizzato, non è un caso, ma v’è una proiezione diretta in Leto che a partire dalla cultura informale traccia con sapienza i suoi spazi del desiderio e della desolazione.
Perché di spazi inquieti si tratta nel momento che stracci, fogli di giornale resi in uno spasmo materico, compressi nel perimetro della propria creazione, costruiscono le nuove (o ultime) terre e gli orizzonti elaborati dalle stratificazioni materiali nella inquietante ricchezza di rimandi. Altre volte questa quieta terrestrità si apre facendo emergere una soluzione di continuo, una dolorosa frattura da dove un gemizio si rapprende e ne costituisce, come in “Glaciazione”, il terrifico momento d’una perenne immobilità.
Bibl.: Aldo Gerbino, Dai silenzi della discrezione alle glaciazioni, in Avvisatore, 4 gennaio 1989
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