ORIZZONTE IN ORIZZONTE 1985 / 2016
A curan di: Lorenzo Bruni
Giovanni Leto, Obelisco, 2016. Carta, cartone, pigmenti e corda, cm.120x190x70 (spazio espositivo Fabbriche Chiaramontane – Agrigento, 2016).
Il quadro “Orizzonte bianco” del 2016 è una delle opere inedite che accoglie lo spettatore nella mostra e nel nostro racconto. Il titolo è lo stesso del primo orizzonte che Giovanni Leto ha realizzato nel 1985, ma essendo i due quadri due risposte a due contesti artistici e storici differenti hanno implicazioni altrettanto differenti.
“Orizzonte bianco” del 2016, avendo misure ridotte rispetto ai quadri del 1985, propone una fruizione di tipo intimo che si rivolge ad un nuovo livello di interiorizzazione da parte dell’artista, dei fatti e del reale. Quest’interpretazione è permessa dalla comparsa, insieme alla materia cartacea dei “quotidiani” lavorati e compressi in se stessi, di alcuni frammenti di pellicola fotografica e di diapositive oltre a pagine di riviste e settimanali.
Questi inserimenti possono inizialmente essere scambiati come elementi formali al pari delle sgocciolature di bianco e delle parti di colore nero che coprono o sublimano il testo stampato. Tuttavia, osservandoli meglio si rivelano non tanto per dei ready made ma per quello che sono, ovvero: reperti di un’epoca lontana basata sull’industrializzazione meccanica. E’ proprio la distanza storica che permette loro di convivere (matrice fotografica le pagina di giornale) su uno stesso livello: causa ed effetto implodono al tempo dei social network, vicendevolmente.
Questa constatazione di Giovanni Leto non ha a che fare con una dimensione nostalgica della tecnologia analogica, né è legata ad una lettura antiglobalizzazione. Leto, in maniera diretta, punta a prendere coscienza non solo delle informazioni che il fruitore dell’arte e della vita ha a disposizione in tempo reale, ma gli suggerisce anche una maggiore consapevolezza del contesto mentale e fisico da cui attinge tali informazioni per non subirle passivamente. Questa riflessione sulla necessità di orientarsi nel mondo virtuale come in quello reale è evocato, in parte, in “orizzonte bianco”, grazie alla presenza della bobina, originariamente destinata a contenere e preservare il film fotografico ed ora, ridotta in brandelli, rimanda per forma all’ago della bussola che sprofonda nella materia colorata. Questo lavoro del 2016 è il risultato di un gesto radicale che non si rivolge alla natura e al ruolo della pittura – a differenza dei suoi primi quadri del 1985 – bensì al contesto attuale della società mediatica digitalizzata. Da quest’opera – come dalle altre dell’ultimo anno in cui ingloba elementi di riproduzione analogica – emerge, piuttosto, una forte necessità di discutere sulle nuove responsabilità sociali legate alla trasmissione su larga scala del “sapere”, il quale si presenta apparentemente democratico e soprattutto in grado di offrire facilmente tutte le informazioni del presente e del passato. L’utilizzo che il singolo e la collettività decide di fare di questa massa di conoscenza è un altro discorso e proprio questo – osservando la mostra alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento – sembra essere il così detto nocciolo della questione che ha accompagnato il lavoro di Giovanni Leto in questi ultimi decenni.
La mostra dal titolo “orizzonte in orizzonte” è un’occasione unica per osservare come la ricerca di Giovanni Leto in questi ultimi trentuno anni – da quando nel 1985 ha inglobato l’uso semantico e materico della carta dei “quotidiani” nel “fare” pittura – si è sviluppata con coerenza, pur proponendo sempre soluzioni concettuali e formali inedite. Ri-percorrere oggi la sua indagine, dal mondo smaterializzato dei social network e del “presente espanso”, conduce inevitabilmente lo spettatore a confrontarsi su come il concetto di immagine, di new media e di appartenenza identitaria siano mutati rispetto alle premesse del Novecento e di conseguenza su come lo siano anche il ruolo della politica, della natura dell’audience, oltre che quello della memoria collettiva e del concetto di storia. Gli elementi costanti e presenti nel suo lavoro, decennio dopo decennio, possono essere sintetizzati in alcuni punti specifici, ma che fanno tutti capo alla scelta del 1985 di adottare il giornale come materiale dei suoi quadri, al pari del pigmento cromatico. I giornali, infatti, sono manipolati e lavorati per ottenere dei cordoli in cui le immagini e i testi, ospitati sulle singole pagine, non sono né negati né celebrati, a causa della torsione su se stesso del supporto cartaceo, bensì sono trasformati in potenzialità di senso. Questi singoli elementi poi sono accostati tra loro al fine di formare una seconda pelle magmatica e materica che concede volume, rendendo viva una porzione della superficie della tela. Quest’ultima è sempre posta dall’artista – salvo rari casi – nella parte sottostante del quadro e in evidente dialogo con una parte monocroma in cui il quadro si presenta per quello che è: superficie e stratificazione di colore. L’incontro o il dialogo tra queste due presenze sulla tela è il modo per Leto di visualizzare due importanti tensioni esistenti nell’arte dalle Avanguardie storiche fino ad oggi, che possono essere sintetizzate nell’opposizione tra “spirito” e “materia”, tra il visualizzare dimensioni di spazio “altro” o concretizzare quello stesso dell’oggetto quadro. Leto inserisce quest’opposizione, però, in un ambito cognitivo fornendogli una chiave di lettura più ampia e solo apparentemente figurativa per mezzo dei titoli che utilizza: “orizzonti”. Questa scelta dell’artista ha naturalmente differenti implicazioni e moventi. Il primo è sicuramente legato alla necessità di far convivere il gesto assoluto della pittura con la comunicazione di massa. Il secondo rimanda alla necessità di introdurre una dimensione narrativa e immaginativa all’interno della tradizione della pittura analitica. Il terzo, infine, è quello di portare al centro del discorso la percezione attiva dello spettatore per mezzo del suo concretizzare e smaterializzare la superficie dell’opera, spostando così il campo delle implicazioni dallo spazio illusorio del paesaggio rappresentato all’esperienza diretta dell’opera. Sicuramente dal punto di vista storicistico il contrasto/dialogo – tra astrazione e immaginazione figurativa – che ha presentato sulla superficie del quadro è stato un suo modo – molto personale – di dar voce all’impasse in cui la pittura si trovava a metà degli anni Ottanta. Infatti, se da una parte era ancora presente l’ideologia e l’utopia che aveva caratterizzato la stagione astratta intrisa di fiducia in un futuro unificante collettivo, dall’altra incalzava sempre di più la diffusione della pittura espressionista della Transavanguardia, che si rivolgeva al serbatoio del passato storico/artistico alla ricerca di un segno arcaico individualizzante. In questo contesto di conflitto ideologico e formale, Giovanni Leto si è inserito proponendo una terza via capace di inglobare entrambe le problematiche. Leto nel visualizzare l’opposizione tra analogico e digitale, tra globale e locale e prima ancora tra astrazione e figurazione ha puntato non a creare un contrasto ideologico, bensì ad individuare uno spazio mentale e fisico per proporre una discussione aperta sul possibile ruolo dell’arte all’interno della società che lo alimenta.
Il percorso espositivo che si svolge all’interno degli spazi alle Fabbriche Chiaramontane di Agrigento è stato concepito come un procedere a ritroso dal quadro più recente di Leto, “Orizzonte bianco” del 2016 – collocato all’ingresso –, ai quadri storici del 1985. La mostra non vuole essere una retrospettiva classica, piuttosto un punto d’osservazione privilegiato dal “presente” sulle tematiche affrontate dall’artista: confronto tra arte e mass media e tra pittura e scultura, l’analisi dell’influenza del passaggio dall’astrazione alla figurazione negli anni Ottanta e quello dal supporto libro al giornale fino ai touch screen attuali. La scelta di raccontare un percorso procedendo nel suo senso contrario risulta molto adatta al tipo di ricerca di Giovanni Leto, che non si è sviluppata secondo il canone di evoluzione stilistica di stampo novecentesco, ma sull’analisi orizzontale dei pro e dei contro del ruolo dell’arte rispetto alla società globale all’interno del così detto “post moderno” ed oggi della “modernità liquida”. Inoltre, il titolo di “Orizzonte in orizzonte” mette in evidenza, da una parte, che i quadri di Leto hanno concretizzato, allegorizzato o sublimato non la linea dell’orizzonte e il paesaggio reale, bensì il concetto di questo stesso; dall’altra che l’orizzonte in questione – proprio perché visto a volo d’uccello, come mappa, come annullamento di spazio in dialogo con il contenitore dell’architettura – ha sempre a che fare con l’incontro con l’osservatore che lo fruisce. Infatti, l’orizzonte, citato nei vari titoli da Leto osservando opera dopo opera dal 2016 al 1985, non corrispondere solo ad un’icona, bensì ad un tema da affrontare da più punti di vista, da quello ontologico a quello sociopolitico, dalla tela ai libri d’artista, dalle sculture allo spazio architettonico. Da questo punto di vista la capacità di interazione della sua pratica pittorica con lo spazio fisico/psichico in cui si manifesta risulta centrale ed evidente sempre e non soltanto in installazioni come ‘Percorsi’ od ‘Entropia’, opere degli anni Novanta. Questa è un’esigenza che si trasforma in gesto unico, con cui sintetizzare il dialogo con i media e con la pittura, pur accogliendo significati differenti derivati dal contesto e dal momento storico (metaforicamente e fisicamente) in cui si manifesta. Questo aspetto di cercare un equilibrio tra gesto riformulante della pittura e gesto intimo è costante nella ricerca di Giovanni Leto e proprio per questo nelle sue opere non si può parlare di monocromo in senso stretto, dato che il suo monocromo viene costantemente messo in crisi dalla porosità del linguaggio evocato dall’uso dei giornali. L’attitudine di Giovanni Leto di contestualizzare il ruolo dell’arte rispetto alla coscienza che la società ha di sé e viceversa, lo conduce nelle produzioni degli ultimi due anni – pittoriche, scultoree e installative – ad inserire sulla superficie dell’opera presenze particolari come frammenti di diapositive, pellicole fotografiche, collage di riviste, così come nastro magnetico sbobinato ed usato come corda, evidenziando la loro essenza di materiali di altri tempi, non soltanto dal punto di vista concettuale, ma soprattutto da quello tecnico. Infatti, questi vengono mostrati come dei “sopravvissuti”, ormai inservibili a causa delle parti rotte. Quello che Leto provoca, però, non è un cortocircuito tra realtà e rappresentazione come accadeva per le opere di Daniel Spoerri o di Joe Tilson, ma tra ciò che viene considerato nuovo, rinnovabile e ciò che viene ritenuto obsoleto ed arcaico, puntando ad aprire una costante discussione attorno alla ri-attivazione del ruolo della memoria collettiva e del concetto di archivio e di trasmissione del sapere. Proprio questo approccio lo ha portato a riflettere in maniera costante sui libri d’artista come strumenti del costruire e archiviare e ultimamente all’installazione “Spazio (orizzonti)” che si manifesta in quanto orizzonte espanso non da osservare frontalmente, ma da percorrere e immaginare e con cui fare i conti con la fiducia nella scienza e nella tecnica di novecentesca memoria. Attraverso l’osservazione delle sue ultime è possibile adesso comprendere meglio che Giovanni Leto ha sempre puntato a stabilire un dialogo particolare tra il concetto di monumento e quello di disegno astratto, tra la diffusione della conoscenza oltre i confini nazionali – permessa dall’invenzione di Gutenberg dei caratteri mobili – e la sua attuale dispersione – per mezzo dei recenti screen touch e dei codici elettronici – nell’etere.
In questo percorso appare evidente che la sua scelta non è stata guidata dalla curiosità di indagare del materiale extra-pittorico, bensì dalla volontà di spostare la questione dell’attrazione e repulsione per la superficie / quadro dal contesto delle avanguardie storiche al nuovo mondo edonistico degli anni Ottanta per affrontare, così, una nuova riflessione sul possibile ruolo della pittura nel mondo mediatico.
Nota:
Questo testo, così come la scelta del display della mostra ad Agrigento, ha voluto rispondere alla necessità di contestualizzare il percorso di Giovanni Leto rispetto al contesto sociale e artistico attuale, contesto ampliamente analizzato e destrutturato proprio dalla sua produzione degli ultimi due anni. Allo stesso tempo per non perdere di vista le varie sfumature e implicazioni che ha avuto il suo lavoro decennio dopo decennio era fondamentale inserire all’interno di questo catalogo una selezione della sua ampia bibliografia che potesse aprire a differenti riflessioni legate in maniera più specifica a periodi storici precedenti. Questi testi, per evidenziare il loro contestualizzare un periodo ben preciso, sono stati riprodotti come documenti, ovvero mantenendo la loro forma confezionata per il catalogo, il libro o la rivista on line. Ogni testo apre e chiude un decennio di attività di Giovanni Leto nella sezione dedicata ai lavori che non si trovano in mostra e che propongono una progressione storica proprio per bilanciare la progressione dal presente verso il passato proposta dalle opere presentate nella sezione iniziale corrispondente alla mostra. I testi sono di: (mettere chi e dove è apparso in senso di impaginazione nel libro).
Follow Us!