Giovanna Calabretta

LA NOSTRA COMPLESSA BIOGRAFIA COLLETTIVA NELL’OPERA DI GIOVANNI LETO

Giovanna Calabretta

 

 

Racconti di carte è il titolo della mostra personale dell’artista Giovanni Leto a cura di Ezio Pagano, inaugurata sabato 13 febbraio alla Galleria Adalberto Catanzaro arte contemporanea di Bagheria.

La mostra che ha il respiro di una retrospettiva, come si evince dal titolo propone un “viaggio” attraverso una selezione rappresentativa di opere che l’artista ha realizzato già a partire dagli anni 80. Dalle opere storiche come Corda e Orizzonte, veniamo invitati a lasciarci guidare in questo universo costruito, materico, caratteristico del linguaggio di Leto, fino ad arrivare alle più recenti elaborazioni.                  

“Dietro quei fogli attorcigliati” scrive Valentino Catricalà autore del testo in catalogo, “noi vediamo una mano, quella dell’artista nell’atto di un ripetuto attorcigliare: nella voglia, forse, di proteggere qualcosa di prezioso, per lui, per la sua storia, ma anche per noi, per la nostra storia sociale”.

Il quotidiano da strumento effimero di comunicazione diviene quindi luogo, elemento oggettivo e paesaggio che, av-vitandosi, finisce per solidificare lo scorrere del tempo umano – racconto di fatti e di misfatti sociali – superando la funzione di medium, già assolta – e riappropriandosi del suo essere stato materia.

In catalogo troviamo “il racconto di un ricordo”: «mia madre poi, il cui odio crescente per quel giornale era infinito, quando non lo gettava direttamente nell’immondizia, ne riduceva, spesso rabbiosamente, i fogli in torce (quasi come oggi faccio io) per accendere i fornelli».

Questa finestra sul ricordo ci racconta molto dei rimandi affettivi del gesto, che quindi, contiene tanto anche in termini emozionali. É un sentiero che conduce e traduce la nostalgia delle cose perdute che perdurano in noi; il “col’ore” che Leto imprime sulla tela; il linguaggio che, già letto, tende a fissarsi nella memoria. Racconti di carte pur partendo da questo però contiene altro ancora.

La storia dell’umanità comincia con la parola scritta e i testi antichi conservati sotto forma di “rotoli” sono la nostra “provenienza”. Il quotidiano è in qualche modo il primo contenitore della storia futura, il crivello o setaccio iniziale della storia tramandata. Alcuni eventi vi entreranno poi a pieno titolo, altri saranno cancellati, sovrascritti o modificati. Leto arriva prima che ciò avvenga. Conservando la storia preserva il presente consegnandolo al futuro. Viene in mente un’assonanza con la mitica Biblioteca di Borges, dove l’idea del “luogo contenitore” di tutti i testi esistenti, vanifica qualsiasi tentativo umano di leggerli. Sono lì, settore dopo settore, ordinati “di per sé”, nel senso di riposti secondo un ordine di catalogazione che sfugge alla semplice fruizione, mettendo come prima istanza il ruolo “conservativo” anziché quello “consultivo”. Proprio come nei quotidiani avvitati di Leto.

Le sue parole “nascoste” sono la traccia, in forma di linguaggio criptato, che restituisce la “nostra epoca”, se solo volessimo riaverla indietro. Questo lo avvicina, a nostro avviso, a chi nella storia dell’arte ha fatto dell’uso delle “lettere” (anche inventate), simboli linguistici che ribaltano il meccanismo del geroglifico visto che fanno poco o nulla per farsi leggere. I suoi sono testi avvitati, che in parte l’autore lascia leggibili anche se indecifrabili, in parte sovrascrive con il colore, avvertendoci che quell’inchiostro stampato su carta altro non è che la nostra complessa biografia collettiva.

Bibl.: Giovanna Calabretta, La nostra complessa biografia collettiva nell’opera di Giovanni Leto, in Inchiestasicilia.com, 19 febbreio 2016.