GIOVANNI LETO UNO, CENTO, MILLE ORIZZONTI DI PITTURA E DI CARTA DI GIORNALE
Valentina Di Miceli
“Così edificò egli nella luce e nell’ombra, L’opera d’eterne parole che ingombra l’orizzonte umano con la sua mole immensa”: parafrasando ciò che D’Annunzio scrisse nel 1902 su Hugo, dalla letteratura all’arte, possiamo sagomare le stesse parole sull’opera di Giovanni Leto, artista monrealese classe 1946, che da più di trent’anni costruisce vasti orizzonti polimaterici, fatti di pittura e carta stampata, pigmento e parole eternizzate dall’arte, emergenti dalla luce e dalle ombre della sua isola.
Le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento dedicano oggi (fino al prossimo 29 gennaio) un’esaustiva mostra che ripercorre gli orizzonti dell’artista dagli esordi ad oggi. Una mostra – Orizzonte in orizzonte (1985 – 2016) – che, sottolinea il curatore Lorenzo Bruni, non vuole essere una retrospettiva, ma una considerazione attuale sulle modulazioni ed evoluzioni dell’opera di Leto negli anni, nella coerenza della sua sostanziale versatilità.
Di orizzonte in orizzonte, dunque, il percorso espositivo procede dal presente, le ultime opere del 2016, a ritroso fino al 1985, anno della svolta pittorica dell’artista e dei primi inserimenti di carta di giornale.
La formazione di Leto avviene negli anni ’60, in pieno clima informale, anni in cui l’artista apprende la lezione di Burri e Dubuffet, e comincia a sperimentare l’uso di materiali poveri, per cimentarsi subito dopo nel collage e nell’assemblage.
Un percorso che attraverso le ricerche spaziali degli anni ’80, lo porterà alla codificazione del suo linguaggio distintivo. Nel 1985 inizia, infatti, a costruire gli Orizzonti: vaste superfici monocromatiche come lastre su cui l’occhio scivola lievemente, interrotte da fitte stratificazioni di carta di giornale attorcigliata quasi a volere contenere le parole sfuggenti in essa stampate.
Orizzonti di carta, frammenti di parole si stagliano su cieli immobili e infiniti. dal contrasto nasce allora l’emozione, dal cortocircuito tra il continuo indistinto del cielo e il discontinuo fenomenico della carta, tra universale e particolare, tra pensiero e materia, astrazione e rappresentazione. nell’etimologia stessa della parola orizzonte è racchiuso il concetto di linea che delimita, segna un confine tra terra e cielo, parole e pitture, oltre il quale lo sguardo non può spingersi.
Scriveva a tal proposito Filiberto Menna: “Il passaggio dal tempo verbale al segno pittorico, o meglio da una struttura dominante verbale a una struttura dominante pittorica, rappresenta senza dubbio il transito verso una maggiore indeterminazione, una sorta di sprofondamento in quella zona, in qualche modo eterogenea al senso e alla significazione, che il pittore francese Marc Devade indicava come il luogo dove si incontrano i ritmi del gesto pittorico e i toni dei colori in uno stadio anteriore alle forme storicamente determinate dalla pittura”.
tra l’ultimo Orizzonte bianco del 2016 che apre la mostra, e il primo Orizzonte bianco 1985, il mondo di Leto si disvela ai nostri occhi, arricchendosi di elementi extrapittorici come la pellicola fotografica destinata,al pari della carta, a dissolversi nell’epoca del digitale e del virtuale.
L’azione di Leto è allora proprio quella di eternizzare, accartocciare per conservare, inglobare nell’indistinto infinito della pittura brandelli di storia, di memoria inevitabilmente destinati all’oblio.
E’ una riflessione sul tempo, sul linguaggio e sulla sua evoluzione o involuzione.
Si vedono allora orizzonti sprofondare, inplodere su se stessi cercando una via di fuga interiore (Scongelamenti, o Crepaccio 2015); Glaciazioni (1988) che invadono l’intera superficie senza lasciare spazio alla pittura, con un movimento molecolare, da cui di tanto in tanto, inaspettatamente affiora un Fossile (1992) come un ricordo ben preciso stagliato nella memoria.
Tra monocromi bianchi e neri, la carta si attorciglia in forme diverse, in architetture e paesaggi angoli e derive, fino ad arrivare alle installazioni (Obelisco 2016, Cartolaro 2006, Percorsi 1992) in cui in passaggio dalla bidimensionalità del quadro a parete, alla tridimensionalità della struttura nello spazio, apre nuovi orizzonti, valicabili, al pensiero.
Ed in fine la cara torna al suo luogo di origine, il libro, nella serie dei Libri d’artista. (Racconti aniconici) che come scrigni preziosi, raccolgono piccoli orizzonti, miniature di concetti astratti e universali in formato tascabile. La mostra organizzata dagli Amici della Pittura Siciliana dell’Ottocento.
Bibl.: Valentina Di Miceli, Giovanni Leto uno, cento, mille orizzonti di pittura e di carta di giornali, Giornale di Sicilia, mercoledì 28 Dicembre 2016.
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